Viva Maria! Un antenato saccheggiatore nella Toscana antifrancese
Grazie alle preziose pubblicazioni dello studioso Santino Gallorini ho potuto approfondire la vita di un mio antenato senese alla fine del Settecento. Il contesto storico è quello delle insorgenze antifrancesi svoltesi ad Arezzo e più in generale in Toscana. L’autore, al quale va la mia riconoscenza più sentita, ha già dedicato diversi volumi all’argomento. In calce è riportata una bibliografia essenziale tratta dal sito “ilpostalista.it”.
Il mio avo, protagonista delle vicende dell’epoca, proviene da Radicofani e si chiama Agostino Valenti. Egli sarebbe un fratello del mio esavolo Luigi. Quest’ultimo era, infatti, il bisnonno del mio trisavolo. Stando a quanto attestano le fonti conservate presso l’Archivio di Stato di Siena (ASS), il mio avo Agostino, avrebbe saccheggiato il ghetto ebraico di Siena approfittando della confusione venutasi a creare in detta città alla fine di giugno del 1799.
Qui sotto riporto le fasi essenziali del processo. Il documento è conservato nell’ASS, Capitano di Giustizia, n. 286, Processo Informativo n. 74. Informativo contro Agostino Valenti per saccheggio.
APPENDICE V
UN PROCESSO AD UN SOLDATO DI BANDE
Il Bargello della Piazza di Siena, Giuseppe Pepi comunica al Capitano di Giustizia, che il suo Caporale della Squadra di Radicofani, in data 26 ottobre 1799 gli ha comunicato di aver avuto la notizia che certo Agostino Valenti di quel luogo “ritenesse un vezzo grosso di carbonetto, ed altre robe state da esso rubate in questo Ghetto all’ingresso delle Truppe Aretine il dì 28 giugno scaduto, ordinò all’istesso Caporale, con annuenza di V. S. Illustrissima di perquisire l’abitazione di detto Valenti per assicurare detto vezzo, ed altro che di furtivo potesse ritenere … con altra sua lettera del dì 2 del corrente novembre le fa sapere che perquisita l’abitazione del suddetto Valenti in presenza di testimoni, le ritrovò un vezzo di carbonetto grosso a tre fila, con borchia d’oro in mezzo alla quale vi sono incassate tre teste umane parimente di carbonetto, un paro di forbicette, con suo astuccio d’argento fatto a filagrana, ed un pisello parimente d’argento, con aver tutto nelle forme assicurato ed esibito in quel Tribunale. Facendole inoltre sapere che il nominato Valenti confessò alla presenza di detti testimoni aver l’istessa roba portata via da questa Città, in occasione dell’ingresso delle Truppe Aretine. … la detta roba … appartiene al furto, e saccheggio stato commesso alla casa dell’Ebreo Abramo di Console Pesaro di quella Scuola …”.
Il 5 settembre 1799 Abramo di Consolo Pesaro presentò una nota di quello che gli era stato rubato: Lire 986, tre camice da uomo quattro paia di calze, “un par di smaniglie da cavallo con fermezze uguali e contornate d’oro con lavori, in paro pendenti di cavallo con pera uguale e legati e lavorati con oro, un paro pendenti d’oro a cerchio con mandola d’oro, una scatola d’argento di once cinque, una scatola di filo d’argento grano fonda, una fondina da odore d’argento, un cuore di filo grano d’argento, una fiaschetta d’argento sodo, un pesello d’argento, due pezzi di argento fatti ad uso di anti porta, una custodia di filo grano d’argento, due tazze da zucchero d’argento, una corniola d’oro, un anello d’oro fatto a mezzo cerchio …”.
Segue la dichiarazione del Caporale di Radicofani, che narra della perquisizione, del sequestro e della successiva sigillatura della roba sequestrata in un pacchetto, che poi ha inviato al Capitano Giuseppe Pepi, Bargello di Siena.
La mattina seguente dal Sig. Colonnello Malavolti col mio fratello, e tre aretini fummo mandati a far sentinella alla casa di un altro Ebreo, che gli dicevano il Ser Leme, e qui ci stiedi finché non me ne ritornai a casa, dove di filo, che arrivai feci vedere tutta questa roba, perché credevo con buona fine che si potesse pigliare.”.
“… Io viddi delle persone molte, che portavano via la roba in seno, nelle tasche, e nei fagotti, che li vedevo uscire di casa, ma poi non li conoscevo, e non saprei dirli chi fossero … e ad uno la sera, mentre c’eramo di sentinella li si fece riposare, e si lasciò lì in casa molta roba, che aveva presa”.
Gli viene chiesto per qual motivo avesse fatto restituire la roba al detto soggetto e non avesse pensato a fare la restituzione delle dette robe da lui stesso involate. Il Valenti risponde: “Fu il Caporale Bersetti, che fece restituire quella roba da quello, ma poi né sapevo il motivo, né se dovessi restituirla ancora io”.
(Carta 20r) – Testimonianza di Alessandra Gerlini di Radicofani
Testimonia che la Francesca, moglie del Valenti, le aveva chiesto di rinfilare certi coralli e quando andò a casa sua per farglieli misurare al collo, lei le fece vedere le altre cose alla presenza del marito e senza che glielo chiedesse.
(Carta 29v) – Interrogatorio di Abramo di Consolo Pesaro, del 3 dicembre 1799.
Abita assieme al figlio Consolo nel Ghetto senese da tre anni nella “… prima casa, che si trova nell’entrare del primo portone del Ghetto, che l’ho a pigione da Salomon Gallichi, ho moglie e quattro figli, che due maschi, e due femmine, ho due fabbriche in piedi, che una di lanificio, e l’altra di concie, e faccio il negoziante, ed ho circa 68 anni”.
(C. 30r) – “Non solamente mi fù portato via della roba, e denaro, ma anche mi gettarono per le scale, e mi tirarono un’archibusata, ed il fatto andò così; sappia dunque che il giorno che vennero l’Aretini sentii bussare, aprii e mi si presentò uno armato collo schioppo, gli diedi i ben arrivati, e dissi «Viva l’Imperatore», questo mi replicò «bisogna uscir di casa», ed io risposi «me ne vado dove comandano», ed uscito dall’uscio, e giunto a capo della scala dove si era fermato, quello collo schioppo mi diede una botta col calcio dello schioppo, e mi tirò giù per la scala, e mi fece cadere da ventuno scalone, dove mi feci cinque ferite nel capo, e da capo scala mi tirò un’archibusata, colla quale mi colpì nel petto, di dove il cerusico Cerpi mi cavò perfino lo stoppaccio di dentro la ferita medesima della quale sono guarito, e non vi è altro che la cicatrice, ed ero guarito ancora delle ferite del capo, ma o che non fossero ben purgate, mi ci sono venute due posteme, delle quali ne risento tuttora il male, e non sono in grado di esser visitato neppure perché sono fasciato, e rimasi morto per la schioppettata, e ferite da circa quattro ore, e perciò non so cosa facessero in tal tempo in casa, ma meglio glielo potrà dire mio figliolo Consolo, che ha steso il referto sotto mio nome, e lo portammo insieme dopo che io cominciai a star meglio”.
Gli chiedono se sappia chi fosse colui che gli tirò l’archibusata e lui risponde: “al parlare mi parve un forestiero, uno cioè non nativo di questa Città”. Poi racconta: “… io a casa ci fui portato il sabato, perché fui trascinato giù in Ghetto senza saper come, e mi messero in casa di Monsellei, o del Rabino, dove fui messo sopra due materazzi, e quando fui ricondotto a casa seppi che era seguito questo spoglio”. Inoltre: “Stiedi in pericolo di vita la prima settimana finché non furono manifestate le ferite del capo, e non fu levato lo stoppaccio dalla ferita del petto, dove il cerusico credeva, che dopo lo stoppaccio vi fosse anche la palla; scoperta che questa non vi era allora il cerusico mi assicurò della vita”.
A domanda, rispose che aveva tutto quel denaro in casa perché la domenica successiva il figlio Consolo doveva comprare certe pelli a Volterra. Siccome il Pesaro dichiara che qualcuno sapeva che doveva andare a comprare le pelli la domenica – “… il signore Gaetano Baldacconi, il quale sapeva che dovevo andare a ricevere una partita di pelli a Volterra da pagarsi in pronti contanti …” – possiamo ipotizzare che non sia dunque improbabile che ci fosse chi immaginasse la presenza in casa dei soldi.
(Carta 33r) – Testimonianza di Consolo di Abramo Pesaro, di 29 anni, con moglie ed una figlia piccola, abitante in una casa corrispondente alla prima porta principale del Ghetto, prossima alle scale di San Martino.
(C. 36r) – “… si cercò di mettere in salvo la vita, e rifugiarsi in cantina, dove ci ritirammo, e ci stiedamo quasi per tutto il giorno fino alle ore 23 passate, mentre eramo laggiù si sentì quattro o cinque volte gran gente in casa, ma nessuno ci azzardammo a veder chi era, e molto meno io, che mi aveano ammazzato una certa Ricca Orefici sulle braccia nell’atto che questa donna volle affacciarsi ad una delle mie lindiere per chiamare un suo figlio, e dalla piazzetta li fu tirata un’archibusata, e restò diacciata subito, e neppure mio padre poté conoscere alcuno, che fu l’unico, che rimase in casa solo, supponendo che potessero portar rispetto alla sua vecchiaia, o che al più lo potessero condurre in carcere …”.
LA SENTENZA
Archivio di Stato di Siena, Capitano di Giustizia, n. 553, cc. 93r e segg.
“Contro
Agostino di Pietro Valenti di Radicofani stato soldato di bande di detto luogo perché sotto dì 28 giugno prossimo passato all’occasione dell’ingresso in Siena delle Truppe Aretine con le quali egli era unito s’introdusse nella casa abitata da Abramo e Consolo padre, e figlio Pesaro ebrei di questo Ghetto, e quivi rubasse portasse via a danno dei medesimi una smaniglia di corallo con sua borchia di cavallo incisa, a cammeo legata in oro, uno stuccio da forbici di filagrana con sue forbici dentro, ed un pisello parimente d’argento della qualità di che in atti, il tutto del valore di scudi dieci a forma della stima stata fattane non senza qualche sospetto che il detto inquisito esser possa anche debitore e complice dell’intiero furto fatto nella stessa occasione a danno dell’istesso Pesaro consistente in altre gioie, argenti, e biancheria dalle qualità di che in atti, e in lire novecento ottanta sei e 10.4 di denaro contante come in atti a quali, che però
Repetito il Divino Nome
Diciamo pronunziamo e dichiariamo con precedente partecipazione, ed approvazione della regia firma dal dì 7 del 1800 riposta in Filza 60; Partecipazione sotto N. 72 dove si condannava conforme e condanniamo l’Inquisito Agostino di Pietro Valenti, come confesso computatali in parte di pena la carcere che soffre dal 27 novembre scorso a questa parte, straordinariamente in sei mesi di esilio da questa Città di Siena sue masse potesterie suburbane, e cinque miglia attorno a ciascheduna di esse, con la comminazione di altrettanto tempo di confino a Volterra, e suo Territorio non obbedendo o trasgredendo, e a indennizzare il derubato iuxta liquidationem per la concorrente quantità del furto contestato, e in quanto non lo sia stato con la restituzione fattali delle robe furtive, ed ordiniamo inoltre tenersi sospesi gli atti non solo contro di esso quanto ancora contro chiunque altro possa essere stato l’autore, o complice dell’altri furti commessi a danno del predetto derubato, e dell’offese , e ferimenti di che in atti.
Agostino di Pietro Valenti, condannato”
Bibliografia
- Antoniella Augusto – Occupazione francese e insorgenza antifrancese nelle carte dell’Archivio di Stato. 1799-1801, Provincia di Arezzo, Arezzo, 1991.
- AA.VV., 1799 Il ‘Viva Maria’ disegnato, Biblioteca Città di Arezzo, Siena, 1999.
- AA.VV., “Digitus Dei est hic” Il Viva Maria di Arezzo: aspetti religiosi, politici e militari (1799-1800), Istituto Storico dell’insorgenza e per l’identità nazionale, Milano, 2004.
- Antonio Bacci, Viva Maria! Storia in ottava rima dell’Insurrezione Aretina del 1799 contro i Francesi con una nota introduttiva, Calosci Cortona, 1999.
- Stefano Dondi, Maria Giorni, Ilaria Pescini (a cura di), Augusto Antoniella (coordinamento), Fonti per la storia di Arezzo dal 1799 al 1801: occupazione francese ed insorgenze, Archivio di Stato di Arezzo, Grafiche Badiali snc, Arezzo, 1989.
- Santino Gallorini – La primavera del Viva Maria, Calosci, Cortona, 1999.
- Santino Gallorini – Viva Maria e Nazione Ebrea, Calosci, Cortona, 2009.
- Giacomo Lombroso – I moti popolari contro i francesi alla fine del secolo (1796-1800).
- Claudia Minciotti Tsoukas – I torbidi del Trasimeno (1798). Analisi di una rivolta.
- Roberto Salvadori – Bibliografia aretina 1790-1815. e Rassegna bibliografica del Viva Maria.
- Ivan Tognarini (a cura di), Arezzo tra rivoluzione e insorgenze 1790-1801, Aretia libri, Arezzo 1982.
- Gabriele Turi – Viva Maria. Riforme, Rivoluzione e Insorgenze in Toscana (1790-1799).
- Massimo Viglione – Le insorgenze. Rivoluzione e Controrivoluzione in Italia (1792-1815).